Giuseppe Pizzi R. Osculati, La teologia cristiana nel suo sviluppo storico. I. Primo millennio (L’abside 18), Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, pp. 333, £ 48.000; II. Secondo millennio (L’abside 19), ivi 1997, pp. 692, £ 60.000. Discorso di presentazione pronunciato da Giuseppe Pizzi all’Associazione degli ex-allievi del Liceo Zucchi nell’occasione del conferimento del Premio "Bartolomeo d’oro" 1999 all’insigne ex-allievo Roberto Osculati. In Monza, Sala della Maddalena, il 7 Maggio 2000. Ringrazio il presidente e l’associazione per l’onore e il privilegio che mi hanno riservato chiedendomi di presentare il Bartolomeo d’oro di quest’anno. Purtroppo il compito cui sono chiamato che, lo ammetto, mi inorgoglisce e mi fa piacere, mi sottopone anche ad un’ardua prova. Non si può parlare del professor Osculati senza confrontarsi con la vastità e la profondità della sua cultura filosofica e letteraria, ed inoltrarsi in un terreno che io invece potrò solo sorvolare, se non vorrò smarrirmi e andare incontro a sicura perdizione. E non potrò parlare di Roberto senza ripercorrere gli anni della nostra gioventù, e rievocare la nostra amicizia, che dura da una vita. Qui le cose sembrerebbero più facili, ma in verità nascondono un’insidia ancor più preoccupante, quella di cedere all’onda dei ricordi, che è il rischio che si corre quando trattiamo di persone e di vicende che rappresentano anche una larga parte di noi stessi. Spero nella vostra benevolenza, e sono sicuro che mi perdonerete in entrambi i casi. Ho incontrato Roberto per la prima volta nel 1952, alla scuola media Zucchi di via Appiani (nomen omen), in una classe dove gli Osculati erano addirittura tre, Roberto e i suoi cugini Vittorio e Gianluigi. Tutti sapete che Roberto proviene da una antica e numerosa famiglia monzese, il cui nerbo è rappresentato da solidi e rigorosi professionisti, per lo più medici e ingegneri, gente dedita a fare, più che ad apparire. Neanche a dirlo, i due cugini sono diventati ingegneri, ma anche Roberto che, vi assicuro, è un Osculati che più Osculati non si può, è a modo suo un costruttore, sia pure nel suo specialissimo campo. Già alle medie, come sempre in seguito negli anni del Liceo, Roberto era il migliore di tutti. Gli riusciva facile. Era attratto dallo studio, intrigato dalla conoscenza. Si impegnava senza risparmio e, forse perché sua madre non gli lesinava gli zabaioni, anche senza fatica. Non primeggiava sugli altri per ambizione, o per gusto della competizione, era "naturaliter optimus". Va però detto che a quei tempi l’impegno negli studi, che in lui era spontaneo e straordinario, era comune a tutti, costituiva un requisito senza deroghe ed eccezioni. Erano veramente altri tempi. La scuola era elitaria e selettiva, le famiglie severe e parsimoniose, anche quelle che potevano dirsi ricche, l’Italia usciva da una fase oscura di guerra e di conflitto civile ed era tutta tesa a ricostruire, a recuperare valori, morali e materiali. Oggi, magari con gli occhi un po’ schermati dal velo dell’indulgenza, possiamo vedere quegli anni come una stagione fertile e solidale, una parentesi benefica e virtuosa fra lo sconquasso che l’aveva preceduta e il furore edonistico-consumista che l’avrebbe seguita. Rievoco quel periodo, quel clima sociale e quell’ambiente scolastico non per imitare il "noi c’eravamo " dei reduci. Lo faccio perché un filo di continuità tenacissimo collega l’esimio professore che oggi onoriamo con l’irreprensibile allievo del Liceo Zucchi di un tempo. Molti dei motivi che Roberto Osculati ha sviluppato nel corso della sua carriera e della sua vita si sono manifestati allora, sotto forma di entusiasmi intellettuali, suscitati dallo studio dei classici e coltivati nel contesto di una grande scuola, con il conforto e nel confronto con grandi maestri. Voglio qui citare almeno i nomi di Ernestina Barzaghi, di Andrea Biraghi, di Carlo Salani, di Ercole Pasini, di Raffaello Sacerdoti. Che io sappia, prima di loro solo Angelo Nava alle medie (un piccolo grande uomo) e dopo di loro Enzo Paci dell’Università Statale di Milano e Zoltán Alszeghy della Gregoriana di Roma hanno dato un contributo comparabile alla formazione di Roberto. I temi che hanno sempre interessato la mente filosofica di Roberto, su cui ha lavorato tutta la vita, fino a costruire la sua figura di teologo, di docente e di scrittore, quei temi ruotano, volendo semplificare, attorno a un punto centrale dominante, quello che avvince e guida ogni filosofo, la ricerca della verità e del bene. Roberto Osculati non è uomo che si sia mai accontentato di obiettivi modesti, né che si fermi alle tappe intermedie, il suo traguardo è l’assoluto. Dà orecchio e attenzione solo alle domande fondamentali, le stesse che venticinque secoli fa risuonavano per le vie di Atene; chi siamo, che cosa è il mondo attorno a noi, chi sono gli dei, qual è la loro volontà. Sostiene Roberto nei suoi libri che la ricerca della verità e l’aspirazione al bene non sono una privativa dei filosofi, sono la prerogativa di ogni uomo. Perciò si usa dire che ogni uomo è filosofo ovvero, come preferisce Roberto, che nessun uomo è ateo. Tuttavia, se comune è la propensione al bene, diversi sono gli strumenti a disposizione di ognuno per perseguirlo. Lui, che è filosofo nel senso pieno, scolastico ed esistenziale del termine, lo fa dispiegando il suo poderoso armamentario di intelletto, di razionalità, di erudizione, di conoscenza degli uomini, della loro storia e delle loro letterature. Osculati non esercita l’attività intellettuale come si potrebbe praticare uno sport, con distacco, con elegante noncuranza; è la ragione della sua vita. La sua ricerca ha richiesto e richiede una dedizione totale, esclusiva di ogni distrazione o interesse parallelo, ha costituito una vocazione e una missione. Quando ragioni di coerenza gli hanno imposto scelte e rinunce, anche dolorose, e io un paio le conosco, non ha cercato il compromesso, ha semplicemente adeguato i suoi comportamenti ai suoi convincimenti. E veniamo ora, sia pur minimamente e timidamente, al punto dottrinale. Per il teologo Osculati la verità e il bene non sono entità univocamente definibili e universalmente riconoscibili. Assumono aspetti e significati diversi nell’evoluzione delle epoche storiche e delle vicende individuali. Sono incompatibili con ogni tentativo di proporli o imporli come canone di comportamento "erga omnes". Sono obiettivi ideali, espressione dell’anelito all’elevazione e alla perfezione insito nell’imperfetta natura umana. Si deteriorano e si corrompono nel momento stesso in cui li si creda attuati nell’esperienza delle persone e nella struttura delle istituzioni. Verità e bene risiedono nella tensione morale stessa dell’uomo insoddisfatto ma consapevolmente fiducioso di potersi rinnovare e migliorare. Chi, invece di "sapere di non sapere", ritiene di essere nel vero e nel giusto, di avere attinto alle origini del bene, di possederlo o di rappresentarlo, compie o un atto di materializzazione dell’ideale, quindi di profanazione (quel che si direbbe un sacrilegio), oppure una cerimonia di divinizzazione del reale (ciò che si chiama idolatria); in ogni caso cade nell’errore, si abbandona alla pigrizia, si acceca nella superbia. Il rapporto antitetico e tuttavia indissolubile fra ideale e reale attraversa tutta l’opera saggistica di Osculati. E’ il tema dominante, quasi una presenza ossessiva. Non potete immaginare le innumerevoli forme che assume: divinità e umanità, sfera celeste e sfera terrena, spirito e materia, anima e corpo, tempo ed età, verità e illusione, teoria e prassi, pensiero ed azione, trascendenza e rito, sostanza e apparenza, convinzione e legge, libertà e autorità, logos e storia, ma si potrebbe continuare a lungo. E’ una opposizione di termini complementari, dove gli uni significano il superamento degli altri, e questi la premessa e l’ambito di efficacia dei primi. All’uomo è riservato il drammatico destino di non poter fare a meno dell’ideale pur vivendo nel reale, cosicché è costretto a perseguire verità, giustizia e certezza solo attraverso, anzi mediante le precarietà della condizione umana. Per un verso, il pensiero teologico di Osculati esprime l’inquietudine un po’ schizofrenica dell’uomo moderno, incontenibilmente proteso a conquistare obiettivi di cui conosce l’irraggiungibilità. Per altro verso, esalta l’importanza dell’opera dell’uomo e del suo ruolo nella storia e le indica come le uniche risorse di cui può disporre per placare la propria ansia di perfezione e di immortalità. E’ quest’ultima una chiave di lettura umanissima, anzi umanistica, che mi fa tornare alla mente il titolo di un celebre film francese di molti anni fa, "Dio ha bisogno degli uomini" interpretato, ricordo, da uno straordinario Pierre Fresnay. E’ significativo che anche un libro di Osculati porti un titolo altrettanto paradossale, "Fare la verità", cioè modellare l’assoluto per mezzo del suo opposto, vale a dire con la contraddittoria e imperfettissima azione degli uomini, quella che costruisce, soccorre, rinnova, corregge e ripara. Ve lo dicevo che nei cromosomi degli Osculati si ritrovano i geni dell’ingegnere e del medico. La tesi dottrinale di Osculati, in quanto abbatte i pilastri della consuetudine e smaschera le matrici autoritarie su cui poggiano i comportamenti di comodo, privi di partecipazione personale, può erroneamente sembrare trasgressiva e perfino permissiva. Al contrario, è una lezione di libertà e di responsabilità, che richiama tutti ad essere artefici di verità e di giustizia. E’ quindi anche una lezione profetica, che parte da una lettura scrupolosa delle scritture e si propone come una riaffermazione del messaggio cristiano. Oltre che nella sua attività di docente, di conferenziere e di omelista, Roberto ha sviluppato il suo pensiero teologico in una quindicina di libri, dai quali emerge la sua statura di umanista e il suo fascino di scrittore. La sua rivisitazione dei grandi testi e dei grandi autori della cristianità costituisce anche una mirabile storia della letteratura cristiana. La lectio magistralis che ci offrirà su Dante vi darà la misura delle sue qualità di critico letterario. Forse l’opera osculatiana che più di altre evidenzia la dimensione storico-letteraria della sua personalità è "La teologia cristiana nel suo sviluppo storico" che, ricorderete, Roberto stesso ci ha presentato nel corso di un interessante incontro di Alfazeta. Voglio citare alcuni passaggi da una bellissima recensione di questo libro pubblicata da Pierluigi Cacciapuoti, un gesuita professore di teologia all’Università di Napoli: ...è singolare che un solo autore percorra duemila anni di storia del pensiero cristiano padroneggiando con sicurezza i classici... ...la materia sembra scorrere sotto gli occhi con la sicurezza maestosa e lenta, ma progressiva e noncurante di un immenso fiume in piena... ...lo stile dell’autore, poi, ha dalla sua parte il pregio – invero non frequente in questo genere di scritti – di una limpidezza cristallina e di una brevità che mai oscura il senso preciso e netto del pensatore che descrive...un periodare stringato e asciutto, che fa aderire semplicemente e naturalmente le parole alle cose, privo di sbavature e di inutili orpelli... ...è una raccolta caleidoscopica dei più vari personaggi cristiani, dove Tommaso d’Aquino si dispone accanto a Dante Alighieri, Ildegarda di Bingen, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio; Nicolò Cusano accanto a Girolamo Savonarola e Antonino da Firenze; Ignazio di Loyola accanto a Maria Maddalena de’ Pazzi; Blaise Pascal accanto a Veronica Giuliani e Francois Fénelon; filosofi e teologi degli ultimi due secoli e letterati come Grazia Deledda e Georges Bernanos accanto a Roberto Rossellini... ...Non fa meraviglia che dall’esperienza dei due primi millenni di vita cristiana l’autore deduca la conclusione che il cristianesimo è per naturale struttura aperto a essere universale, ma appunto per questo deve sapersi esporre a una continua autocritica e a un continuo perfezionamento, perchè la teologia cristiana pensa non un astratto immobile eterno, bensì un concreto storico in cui risplende il Dio della vita... Su queste notazioni di Cacciapuoti concludo il mio elogio dell’ex-allievo Osculati. Al mio compagno di banco Roberto voglio aggiungere che io, la cerchia degli amici, le nostre famiglie, lo ammiriamo e gli vogliamo bene. Forse non è sempre vero che i profeti non siano ascoltati in patria. |