R. Osculati, Il Vangelo di Matteo, IPL, Milano 2004, pp. 277, € 14,90 in Ho Theológos 23 (2005) pp. 305-308 Il commento di Osculati al Vangelo di Matteo segue quello ai Vangeli di Giovanni (2000) e di Luca (2002) e continua il lungo percorso di lettura e interpretazione delle Scritture cristiane intrapreso dall’A. nel contesto della sua attività di docente di Storia del cristianesimo presso l’Università di Catania, un Sitz im Leben che dà al suo approccio al testo evangelico originalità, freschezza ed efficacia. Similmente agli altri suoi saggi di lettura biblica (cf. Pietro e Giacomo. Letture dal Nuovo Testamento, Milano 1979, seguito da La prima lettera di Giovanni e L’Apocalisse di Giovanni nel 1980, La lettera agli Ebrei nel 1981, Cantico dei Cantici nel 1985, La lettera ai Romani nel 1996), il commento al Vangelo di Matteo non si presenta come un testo di esegesi storico-critica né come un commentario letterario e teologico, ma come un atto di lettura personale, oggettivato da e in un contesto comunicativo culturalmente ricco e impegnativo, ed espressamente inteso come introduzione "allo studio delle origini dell’etica cristiana", "frutto di una vivace collaborazione con tante intelligenze giovani e curiose" e di una "ricerca appassionata" tesa a riscoprire la bellezza e la attualità del messaggio evangelico. Il testo matteano viene riportato per intero in pericopi o sezioni più o meno ampie la cui individuazione riflette adeguatamente la struttura letteraria e la scansione narrativa del Vangelo, supporta il commento e guida il lettore alla ricezione del suo messaggio. Il commento è corredato da otto appendici, alcune di tipo più tecnico-esegetico, altre dedicate alle interpretazioni artistiche del Vangelo di Matteo nella storia, che si debbono proprio a collaboratrici di Osculati e illustrano bene la peculiarità del volume. La base esegetica della lettura non si trasforma mai nel contenuto stesso dell’interpretazione ma la serve in modo opportuno e discreto e si riconosce, per esempio, nei rimandi ad ampie sezioni della Scrittura, posti in calce al testo evangelico riportato, e nella capacità dell’A. di far emergere in modo puntuale e coinvolgente il ritratto dell’evangelista stesso: "assai dotto nelle Scritture e nelle usanze di Israele", "sottile interprete", narratore esperto nel selezionare ad arte le scene, capace di evocare "un mondo ormai scomparso" e di "spiegare quali siano le nuove forme assunte dalle promesse antiche una volta liberate dagli interessi dei capi e dai loro calcoli ciechi e rovinosi" (p. 166). L’interesse etico che guida il commento favorisce l’accesso immediato e personale del lettore alla storia del Messia Gesù e al suo Vangelo secondo Matteo: il passaggio dall’antica alla nuova giustizia (Mt 5-7) è letto nei termini di una vera e propria liberazione dalla interiorità illusoria, con i suoi inevitabili risvolti di violenza materiale, morale e religiosa, e come dono di accesso sorprendente ad "un altro tipo di mondo, simile a quello ideale delle origini e profezia dell’ultimo" (p. 49). L’interpretazione offerta della parabola degli operai della vigna, propria di Matteo, è in questo senso paradigmatica: l’uguale retribuzione degli ultimi e dei primi dimostra che "tra patto e dono, infine, non c’è differenza…C’è infatti una giustizia fatta di operosità ed una di attesa paziente…Quell’evangelo che tante volte sembra sottolineare il rigore del giudizio ed ammonisce continuamente sulla necessità dell’impegno e della coerenza più severi ha sempre presente anche il principio apparentemente opposto. Oltre ogni sforzo personale ed ogni risultato occorre guardare ad un ordine gratuito, incommensurabile, paradossale, la cui universalità accoglie tutti. Vi si oppongono soltanto recriminazioni, gelosie, invidie, privilegi, mentre la vera ed ultima giustizia è la grazia del Padre che sempre soccorre i suoi figli…Nel linguaggio fantasioso di questa parabola…è raccolto il proclama religioso e morale che anima tutto il Nuovo Testamento ed è presente l’intuizione da cui nasce il cristianesimo" (pp. 155s). Le osservazioni a ritmo sostenuto che commentano il testo sono ricche di allusioni alla lunga storia profetica che precede e nutre l’annunzio evangelico e, simultaneamente, alla lunga storia di fallimenti o trionfi nell’ascolto che lo segue. L’arte ermeneutica e l’efficacia della lettura di Osculati si colgono al meglio, forse, proprio nella sua capacità di suggerire, senza mai doverla tematizzare esplicitamente, la radicale contemporaneità tra le questioni antiche affrontate dall’autore del Vangelo, intento a comunicare il Cristo, e quelle nuove che travagliano il lettore odierno alla ricerca del Volto salvifico. Le domande antiche e quelle nuove, determinate e definite anche dalle contingenze della storia, convergono e trovano la loro risposta nel paradigma evangelico perché questo e quelle toccano al cuore le realtà ultime. "L’evangelo assume una decisa connotazione apocalittica come lotta estrema tra la luce e le tenebre, la verità e la menzogna, la misericordia e la condanna, la vita e la morte" (p. 92), ed è il suo carattere apocalittico ed escatologico a dare il proprium, l’origine, all’etica cristiana e a determinare la contemporaneità del lettore di ogni tempo al Vangelo e agli uomini che lo hanno accolto, compreso e trasmesso a loro volta. Se "lo sguardo del narratore unisce come sempre il passato ed il presente" (p. 20), lo sguardo del lettore Osculati unisce di continuo la storia e la parola "passata" del Messia, raccontato da Matteo, e il futuro messianico dell’umanità che nel presente di ogni uomo credente già si va affermando e rivelando: "tutta la storia umana, non solo quella di Israele, è stretta tra due possibilità estreme: il regno della ricchezza, delle armi, della menzogna, degli spettacoli, della subordinazione e quello dell’innocenza, dell’autocritica, dell’uguaglianza, del dono di sé. Quest’ultimo si inaugurerà con l’umiliazione della croce e il primo sarà travolto da un potere più forte, che a sua volta cadrà in una vicenda continua di elevazioni e di abbassamenti. Intanto, il regno di Dio porterà i suoi frutti nascosti nelle opere dei piccoli, delle vittime, degli innocenti. Lì bisognerà sempre cercarlo, riconoscerlo, associarvisi" (pp. 174s). Cadono, così, apocalitticamente, i veli della storia: tutto è ricondotto "all’immediatezza del gesto tra persona e persona, all’accoglienza offerta o rifiutata da chiunque a chiunque, senza l’intromissione di artifici e di maschere" (p. 41). La rivelazione propriamente teologica e cristologica del racconto evangelico e delle sue continue allusioni alla Scrittura rischia talvolta di restare eccessivamente costretta dentro la veste dell’etica e l’accostamento con alcune dottrine etiche di matrice greca potrebbe essere considerato troppo veloce (cf. p. 56), ma non v’è dubbio che una contemporaneità così scoperta, germinata dall’assunzione in chiave etica (e genuinamente "politica") del rapporto paradigmatico ed apocalittico, diventato Vangelo, tra le Scritture di Israele e la storia di Gesù, non richiede superflui sforzi di attualizzazione e questo costituisce uno dei pregi maggiori del commento di Osculati, attestandone la "sensibilità laica" (cf. la recensione del suo L’evangelo di Giovanni fatta da A. Minissale in Parole di Vita 47/ n.4 2002, p. 62) e favorendone un’ampia fruibilità culturale. In fondo, tutti "ci si prepara all’ultimo tempo del mondo attraverso scelte estreme, fatte nel segreto della propria coscienza, con gioia ed umiltà. Il vero enigma da sciogliere è dentro se stessi e nella propria libertà" (p. 109) o, per dirlo con le parole di un chassid, attende la sua soluzione dalla capacità di ciascuno di chiarire non il "versetto nel Libro", ma "il versetto nel suo interno" (cf. il detto attribuito a Rabbi Mardocheo di Lechowitz in M. Buber, I racconti dei Chassidim, Milano 1979, p. 476). Maria Armida Nicolaci |