ROBERTO OSCULATI

Ordinario di Storia del Cristianesimo
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania
(1987 - 2012)
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Definito da Clemente Alessandrino "il vangelo spirituale", l’evangelo di Giovanni si presenta come un testo di straordinaria qualità teologica e di profondità filosofica; caratteri che lo contraddistinguono dai Sinottici e ne rivelano la diversa origine e finalità. Si tratta infatti di un contenuto straordinariamente nuovo e insieme riepilogativo di un percorso, che ha alle spalle una tradizione lunga quanto la vita del popolo d’Israele. Secondo la tradizione orale, è stato scritto dall’apostolo Giovanni, ma l’identità dell’autore rimane ancora un problema aperto. La prima edizione, in greco, sembra essere destinata al ricco ambiente delle città costiere dell’Asia Minore, il cui centro era rappresentato da Efeso. Questa premessa è significativa per comprendere l’originalità delle intuizioni presenti nel testo in questione.

L’evangelista ci racconta una vicenda ricca di immagini e personaggi simbolici, che ruotano attorno alla figura di Cristo e la rivelano. Per fornirne una spiegazione l’Autore ha elaborato un disegno chiaro e logico, a vantaggio anche dei non addetti ai lavori, che riveli la profondità dell’evangelo giovanneo.

La struttura di questo studio richiama subito l’attenzione sulla centralità del testo evangelico, riportato all’inizio di ogni capitolo e inquadrato entro una griglia di temi, che consentono di addentrarsi facilmente nella comprensione del percorso tracciato da Giovanni (chiunque esso sia). Per una maggiore corrispondenza tematica l’appendice fornisce i luoghi del testo, secondo la traduzione greca dei LXX, in cui ricorrono le parole-chiave menzionate nel commento.

La "Parola" di Giovanni sembra essere l’ultimo atto di un dramma più grande, il riassunto di un lungo cammino. Pertanto l’Autore sente l’esigenza di indicare i limiti, la cornice di questo quadro, che dà a tutto una ragione di esistere: la tradizione ebraica. Suggerisce passi dell’AT che spieghino i contenuti giovannei, evidenziandone la possibile origine e chiarendone il significato più profondo e vero. Chiama in causa la vita e i valori di un popolo, che ha vissuto in sé la storia dell’uomo di ogni tempo, la storia paradigma dell’umanità. A completamento sono inseriti richiami e corrispondenze dal NT (le Lettere, l’Apocalisse).

L’analisi e il commento di Osculati tengono conto di come un testo di tipo profetico cerchi di conciliare gli innumerevoli interrogativi degli uomini di ogni tempo. Chi è l’uomo? Da dove viene? Esiste un dio, ordinatore e creatore della realtà? Le risposte dei grandi pensatori greci, i tentativi operati da più parti per giungere a risposte definitive sono rivisti, conciliati e superati da una nuova concezione della realtà: essa è un continuo farsi, un tendere verso la razionalità e l’armonia universali. Il tono speculativo del prologo dimostra come il confronto con la cultura filosofica greca sia costante: categorie come il logos e l’archè dimostrano che gli stessi principi hanno risvolti diversi i sensibilità diverse. L’Autore sottolinea come l’archè sia per l’ebreo la parola divina, una parola che fa ciò che dice, che è "cosa": "La parola è desiderio, passione, emozione, speranza, amore. La parola guarda ad un mondo desiderato, anche se non esiste. La parola sa attendere, sa immaginare, sa guidare oltre la distruzione e la morte." Tanti sostantivi, tante immagini per definire il viaggio più importante, quello dentro di noi. E’ dentro di sé che l’uomo avverte la vera essenza del divino. Si tratta di un Dio che esiste sempre e dovunque; è il Dio nomade dei deserti dell’AT, il vento della steppa, che come si dice nel prologo: "eskénosen en emìn".

La razionalità cercata dall’uomo greco è rintracciata nel logos, espressione di vita in senso intellettuale e morale, illuminazione per tutti gli uomini, non solo per i cristiani.

Fin dalle prime battute s’inquadra la scena fondamentale: v’è una lotta tra la luce e le tenebre. La luce splendeva ma le tenebre non l’hanno accolta (Gv 1,5). E’ il tema del male: quando l’universo è gestito dall’uomo diventa tenebra. La figura tragica di Edipo ci offre un esempio di questa lotta. La tragedia greca, il mito sono costellati di eroi che vivono il dramma della loro cecità spirituale in una realtà primordiale, la cui razionalità è ottenebrata.

Individuati i temi principali affrontati nel testo, l’Autore ci invita a percorrere un cammino concettuale, che in una climax crescente, porta alla rinuncia di una conoscenza fine a se stessa e invoglia ad andare oltre. Le tracce lasciate in questo percorso sono le parole-chiave, disseminate dall’evangelista nel testo: la carne, la legge, la grazia, la rinascita, l’acqua, il vino, l’ora…Esse ricorrono continuamente e si caricano di sviluppi e rimandi sempre nuovi e più profondi. In questo cammino di lettura dei segni l’Autore tiene presente quanto il testo greco e latino rendano più facile e agevole tale analisi, sforzandosi di rimanere legato al valore semantico di ogni termine. Queste linee tematiche, dunque, sono fili che si intrecciano per disegnare un solo volto: quello di Gesù. I titoli dei venticinque capitoli non sono altro che le tante facce offerte dal Gesù giovanneo a chi lo incontra e conosce. Tutta la galleria dei personaggi che drammatizzano il racconto concorre ad illustrare questa controversa e paradossale figura, in cui ogni interrogativo trova la sua risposta, ogni tenebra la sua luce, ogni peccatore la sua redenzione. Il Gesù di Giovanni è sì il Messia tanto atteso, ma non nell’accezione con cui il popolo lo immaginava: ai giudei viene mandato un "re da burla", che arriva sul dorso di un asino, che perdona gli adulteri e vive come un "corrotto" tra i corrotti, si lascia avvicinare da una peccatrice e dissetare da una samaritana. Il suo carattere sovversivo, ci spiega l’Autore, non vuole realizzarsi nella macchinazione di una guerra civile (forse per questo Giuda lo tradisce), ma nel rovesciamento di un sistema di valori al servizio di tutte le idolatrie possibili. E’ un’idolatria il culto politeistico dei romani, ma ve n’è una peggiore: l’idolatria di sé. L’Autore sottolinea come nel testo evangelico la presunzione di sé sia la tenebra più fitta, che oscura la vita dell’uomo e lo spinge a farsi legge della realtà. Pertanto il Gesù giovanneo propone una giustizia oltre la legge, che si fonda sul principio del "non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te stesso". A dire questo è un Gesù – amico, che per primo si muove e va dai suoi discepoli, a differenza del maestro greco che li riceveva in una scuola e talvolta vendeva il suo sapere. Egli chiama i suoi, la sua voce li induce a seguirlo e a cominciare a vedere con occhi nuovi. Questo processo è scandito da parole-chiave che coincidono con un’azione: il vedere (orào), il capire (oìda),il venire (érchomai), il servire (diakonéo).

Le ragioni di questa fede sono etiche: il divino si rivela dall’azione che unisce, la sua gloria nell’uomo che agisce per la vita. La più grande contraddizione è parlare del divino e non viverlo. La grandezza di questo nuovo regno è quindi una voce che chiama, un’azione che testimonia. Il potere, l’autorità romana sono da più parti sentiti come valori relitivi :Tacito, Seneca sono testimoni di queste inutili presunzioni; il mito greco aveva già ammonito su questa utopia, portando sulla scena un Tiresia cieco, un Edipo abbatutto quando diventa eroe, un re divorato nelle Baccanti.

In questa storia paradossale, in cui il giusto è crocifisso e la legge dei potenti sembra vincere sui giusti, ciò che importa è, nota l’Autore, "capire chi è il protagonista con l’intelligenza e l’amore e scoprire dov’è". Non occorre sapere se il cieco e l’adultera furono dei personaggi reali o ideali, se i fatti e i luoghi avvennero allora come sono stati narrati; occorre capirne invece la portata universale e non particolare.

Infine un rilievo considerevole viene riservato alle presenze femminili : sono le donne che conservano ciò che Gesù fa, con la loro religione semplice, la "religione dei piedi e dei capelli " (2Gv 12,1-8).

Le testimonianze di coloro che hanno accolto questo anelito alla ricerca, questo bisogno di trovare una direzione, un ubi sono impreziosite dal contributo personale di un grande intellettuale, Boris Pasternak, che affermò: "In ogni cosa voglio arrivare fino alla sostanza. Nel lavoro, cercando la mia strada, nel tumulto del cuore. Fino all’essenza dei giorni passati, fino alla loro ragione, fino ai motivi, fino alle radici, fino al midollo".

Arianna Rotondo